Boss Scarcerati: una lista segreta e il rischio della ricostituzione delle Reti Mafiose

Da mesi infuria il dibattito sui leader mafiosi rilasciati in silenzio, e oggi la svolta arriva: il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha trasmesso alla Commissione Antimafia un dossier, che però è stato classificato come riservato. A parte i commissari di Palazzo San Macuto, nessuno – né parlamentari, né magistrati, né forze dell’ordine – può conoscere l’esatto numero dei boss scarcerati. Questi criminali hanno beneficiato di differenti forme di liberazione: dalla fine della pena per aver scontato il loro periodo di detenzione, a motivi di salute o, in alcuni casi, grazie ai permessi premio.
La senatrice Enza Rando, vicepresidente di Libera e responsabile della lotta alla mafia nella segreteria nazionale del Partito Democratico, non ha esitato a denunciare la situazione. “Non è accettabile che dati sulle scarcerazioni di criminali pericolosi siano nascosti allo stesso Paese che ha combattuto le mafie con il sangue,” ha affermato, sottolineando come la lista, che dovrebbe essere pubblica, risulti segreta nonostante i provvedimenti di scarcerazione siano atti ufficiali. Inoltre, per quanto riguarda i permessi premio, la Corte di Cassazione ha stabilito criteri rigorosi, che includono il risarcimento dei familiari delle vittime, rendendo ancora più incomprensibile la decisione di riservare tali informazioni.
Numerosi casi di rilievo sono già emersi dai resoconti di testate giornalistiche. A Palermo, ad esempio, secondo quanto riportato da Repubblica, mafiosi condannati all’ergastolo come Salvatore Rotolo – accusato dell’omicidio del medico legale Paolo Giaccone – e Raffaele Galatolo, insieme a Ignazio Pullarà, sono stati avvistati in libertà grazie ai permessi premio, nonostante il loro passato violento. A Napoli, un permesso premio è stato concesso a Giovanni Formoso, il boss di Misilmeri condannato per la strage di Milano del 27 luglio 1993, mentre a Milano il caso di Lorenzo Tinnirello, uno degli stragisti di Capaci e di via D’Amelio, ha visto la concessione di un permesso di sei ore, provvedimento poi contestato dalla procura locale e attualmente oggetto di discussione in udienza. Anche in altre regioni del Sud, mafiosi condannati per reati gravissimi hanno ottenuto permessi premio per motivi di salute o per il completamento della pena, suscitando l’indignazione dell’opinione pubblica e sollevando interrogativi sulla gestione del sistema penitenziario.
La decisione del DAP di mantenere riservata la lista impedisce una visione complessiva del fenomeno, alimentando sospetti e critiche non solo tra gli operatori del sistema giudiziario, ma anche nella società civile. La classificazione del dossier come “segreto” appare in netto contrasto con il principio di controllo pubblico su decisioni di tale rilevanza, poiché le informazioni non vengono condivise neppure con le direzioni distrettuali antimafia. Questo limite alla trasparenza riduce le possibilità di un confronto informato e di un controllo efficace, evidenziando un problema che va ben oltre la mera burocrazia.
In questo contesto, la senatrice Rando ribadisce l’importanza di rendere pubblici i dati relativi agli scarcerati: “È fondamentale che queste informazioni vengano condivise non solo tra forze dell’ordine e magistratura, ma anche con i cittadini, per far luce su un fenomeno che riguarda la sicurezza e la giustizia”. Tale richiesta di trasparenza non è una sterile polemica politica, ma nasce da una seria preoccupazione per la ricostituzione delle reti malavitose attorno a figure criminali che escono dagli istituti penitenziari. Come ricorda la senatrice, la ricostituzione delle reti malavitose attorno a figure criminali che escono dagli istituti penitenziari. Per fare un esempio, la maxi operazione antimafia di Palermo, svoltasi a febbraio e culminata con 181 arresti, ha evidenziato come mafiosi scarcerati si stessero organizzando per ricostruire i clan, disarticolati anni fa dagli arresti.
Rando sottolinea: “È vero che abbiamo la migliore legislazione antimafia al mondo, ma non possiamo dimenticare che essa è stata scritta col sangue: se ce ne vantiamo in sedi internazionali, poi dobbiamo essere coerenti nel non indebolirla. Dobbiamo ascoltare la richiesta di aiuto che arriva dagli inquirenti, dalla magistratura e dalle procure: troppe modifiche normative rischiano di indebolire la lotta alla mafia. Penso alle leggi sulle intercettazioni, all’abolizione dell’abuso d’ufficio e alla mancanza di un adeguato monitoraggio sui provvedimenti dei tribunali di sorveglianza relativi ai boss”.
La senatrice ha infine evidenziato la necessità di un adeguato finanziamento per il sistema giudiziario, criticando i tagli del bilancio: “Con l’ultima manovra di bilancio sono stati tagliati 500 milioni al Ministero della Giustizia per il triennio 2025-2027, e solo il 40% delle risorse PNRR per il potenziamento degli organici è stato utilizzato. È urgente invertire la rotta e finanziare adeguatamente il sistema giudiziario, partendo dagli uffici in prima linea nella lotta alla mafia.”
Il dibattito sulle scarcerazioni dei boss mafiosi, con particolare riferimento ai permessi premio, resta uno dei nodi più controversi nel panorama della lotta alla criminalità organizzata. La totale opacità di queste decisioni non solo ostacola l’efficacia del sistema, ma mina anche la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, impedendo un controllo pubblico e trasparente. Solo rendendo pubblici e condivisi tutti i dati relativi alle scarcerazioni sarà possibile instaurare un controllo efficace e garantire che i criteri stabiliti – compreso il risarcimento delle vittime – siano applicati in maniera coerente e giusta, tutelando così la sicurezza e la giustizia nel Paese Italia.