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“Il contrario della fede è la rassegnazione”: il messaggio pasquale dell’Arcivescovo di Catania

«Il contrario più temibile della fede non è l’ateismo, ma la rassegnazione». È questo il cuore del messaggio pasquale che l’Arcivescovo di Catania ha voluto affidare ai fedeli e alla comunità civile in occasione della Pasqua. Una riflessione intensa e profondamente ancorata alla realtà, capace di parlare a un mondo ferito e disorientato, e che ha bisogno di ritrovare il senso del futuro.

La rassegnazione, scrive il presule, è quella che «non sa scorgere più il volto di Dio e la strada aperta al futuro e all’eternità tracciate dalla Risurrezione». È l’atteggiamento che spegne la speranza, in un tempo in cui l’uomo è tentato di abituarsi al dolore, alla violenza, alla solitudine. In questo contesto, la Pasqua torna a essere un faro.

In pieno Anno Giubilare, l’augurio del Vescovo è limpido: «Buona Pasqua! Cosa augurarvi, se non la speranza che scaturisce dal mistero che celebriamo?». Una speranza rivolta a tutti: «La auguriamo con sentimenti fraterni anche ai cristiani ortodossi e agli ebrei, che in questi giorni celebrano la Pasqua e il Pesach. Che questo tempo sia generatore di riconciliazione e pace per i tanti popoli prostrati da inutili stragi».

Il messaggio si fa poi personale, quasi intimo, quando l’Arcivescovo richiama le parole di Papa Francesco, tratte dalla sua autobiografia Spera, scritta nei mesi segnati dalla malattia: «Siatene certi: la realtà più profonda, più lieta, più bella, per noi stessi, per chi amiamo, deve ancora arrivare». Perché questo sguardo fiducioso? Perché, spiega il Vescovo, «è il rendiconto della fede nel Cristo Risorto. È quel “rendiconto” che anche noi dobbiamo fare ogni giorno, verificando se il capitale di fede che coltiviamo sta fruttando oppure ha subito colpi di inflazione in un mondo dominato da logiche fredde e da profeti di sventura».

La speranza cristiana, ricorda, si colloca «tra la chiamata di Dio e la domanda degli uomini». È un cammino esigente, ma profondamente umano. E proprio da questo incrocio nasce il mistero della Pasqua: una speranza che non si limita a promettere eternità, ma che attraversa la morte, affronta la croce e ne esce trasfigurata.

«Cristo non ha rimosso la croce dal suo cammino – scrive – l’ha affrontata con fiducia, con amore, perdonando anche chi gli usava violenza». Le parole di Gesù sulla croce, ricorda l’Arcivescovo, «sono tutte rivolte al futuro: “Padre, perdona loro”; “oggi sarai con me in paradiso”; “nelle tue mani affido il mio spirito”. Anche il grido più disperato diventa preghiera: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».

Ma la croce non è l’ultima parola. Dopo tre giorni, Cristo risorge. E torna con il saluto di pace, con la forza dello Spirito e con un gesto che ancora oggi scuote: mostra le sue ferite. «Quelle piaghe rimangono sul corpo risorto – scrive il Vescovo – e sono sigilli d’amore». A Tommaso, e a ciascuno di noi, dice: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani. Non essere incredulo, ma credente».

Da quelle ferite scaturisce una speranza che guarisce, consola e spinge all’impegno. «Metti le tue cadute nelle ferite di Cristo – è l’invito – e sentirai che quella carne palpita di amore. Ti conferma che vale la pena soffrire per sperare, pagare il prezzo dell’amore, faticare per costruire giustizia e pace».

La speranza, ribadisce l’Arcivescovo, non è attesa passiva, ma responsabilità attiva:
«Sperare, oggi, è impegnarsi per la giustizia. È educare i sentimenti dei giovani, prevenire la violenza, partecipare alla vita delle comunità. È lottare contro la droga, l’emarginazione, la povertà educativa. È costruire città inclusive, che non siano solo centri con periferie abbandonate».

E ancora: «Sperare che la nostra politica resti morale, che l’economia non naufraghi, che nessuno venga scartato, è credere in una società nuova, rigenerata dalla Pasqua».

Il messaggio si chiude con un’ultima parola di speranza:
«Crediamo che Egli è presente nella storia dell’umanità, in ogni storia personale, e ci porta oltre le nostre piccole vite, parlandoci di risurrezione, di nuova creazione».
E con una certezza: «Questa speranza, che sgorga dalle ferite del Risorto, è il dono più grande che i cristiani possano fare all’umanità. E si traduce sempre in amore».

«Vi abbraccio e vi benedico tutti», conclude l’Arcivescovo.

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Published by
Alfio Musarra