Nuovi scenari di mafia: vecchi poteri, omissis e un futuro incerto

Le recenti ordinanze di custodia cautelare, che hanno condotto all’arresto di 181 boss e affiliati, presentano numerosi omissis: un dettaglio, secondo Repubblica, lascia presagire come questa vasta operazione non sia che l’inizio di un’indagine molto più ampia. La procura di Palermo e il Nucleo Investigativo dei carabinieri starebbero setacciando nuove piste alla ricerca di altri soggetti coinvolti. Nei faldoni, ci sarebbe il nome di un avvocato che avrebbe rivelato informazioni riservate, un commesso di tribunale pronto a segnalare l’imminente arrivo dei blitz. Spiccano inoltre nomi di imprenditori presunti prestanome, professionisti compiacenti e un autentico esercito di “infedeli” a disposizione dei potentati mafiosi, sia di vecchia che di nuova generazione.

A Palermo sembra di rivivere l’atmosfera dei fervidi anni Settanta e Ottanta, sebbene il contesto odierno abbia sfumature differenti. Molti degli attuali padrini provengono dalla stagione dei cosiddetti “perdenti” che, un tempo, furono emarginati dall’egemonia di Salvatore Riina (morto nel 2017) e che adesso stanno tornando alla ribalta. Secondo le intercettazioni, oggi sono spesso gli stessi colletti bianchi a contattare i boss, quasi si trattasse di un servizio alternativo per esigenze di vario tipo.

Le intercettazioni mostrano inoltre come un avvocato si fosse offerto di rivelare dettagli sulle indagini dei carabinieri. A Partanna Mondello, il boss Giovanni Salvatore Cusimano confidava al suo autista di essere costantemente sorvegliato; l’avvocato in questione sosteneva addirittura che l’auto del collaboratore fosse già stata equipaggiata con microspie. L’inchiesta, poi, cita un deputato regionale della Lega (non indagato) in relazione a un episodio accaduto tre anni fa, quando un importante trafficante mafioso, Salvatore Inzerillo, fu invitato da un galoppino elettorale a un incontro pre-elettorale: la polizia seguì ogni passaggio, portando alla luce ulteriori indizi su un intreccio tra politica e criminalità.

Intanto, a Castelvetrano – cittadina del Trapanese legata all’ultimo grande latitante corleonese – si cominciano a intravedere segnali di cambiamento. In un freddo giovedì di febbraio, il teatro comunale Selinus ha accolto un folto pubblico per la presentazione del libro I diari del boss di Lirio Abbate, editorialista di “Repubblica”, dedicato a Matteo Messina Denaro. Nei documenti manoscritti, scritti in stampatello per la figlia durante i trent’anni di latitanza, emergono dettagli cruciali per la Direzione distrettuale antimafia, che sta valutando chi abbia garantito protezione al boss per così tanto tempo e, soprattutto, dove sia finito il suo immenso tesoro.

«Questo libro ha uno scopo ben preciso – ha spiegato Abbate – mostrare la vera natura del personaggio, demolendo l’immagine di un mafioso “buono” con tutti. In realtà, è stato un uomo che ha pensato soltanto a se stesso, arricchendosi sulle spalle di molte vittime. I diari rivelano un egocentrismo spietato». È stato sorprendente, in un territorio ancora segnato dal potere mafioso, assistere a una platea così gremita. «Chi si è seduto in platea ha fatto una scelta precisa – ha aggiunto Abbate – e questo segna un passo in avanti: significa che una minoranza, sebbene piccola, sta abbandonando il silenzio».

La cattura di Messina Denaro ha portato a un nuovo assetto negli equilibri mafiosi: non esisterebbe più un singolo vertice in grado di coordinare tutto con ferocia e atti eclatanti, ma una rete frammentata di rapporti e influenze che si estendono a politica, imprenditoria e libere professioni. È un sistema di potere meno appariscente ma, forse, ancor più insidioso perché radicato nella quotidianità e alimentato dalla complicità di certi ambienti “rispettabili”. Se le ultime retate e i materiali rinvenuti nel covo del boss lasciano intendere la forte volontà di smantellare la criminalità organizzata in ogni sua diramazione, il percorso si annuncia lungo. Dalle infiltrazioni economiche del Trapanese fino alle connivenze di Palermo, passato e presente si mescolano in un intreccio che solo una comunità attenta – come dimostra l’esempio di Castelvetrano – potrà spezzare, scalfendo l’aura di immunità di cui i boss si sono nutriti per decenni.