Operazione antimafia: 20 arresti a Catania e Adrano

La Polizia di Stato di Catania, su delega della Procura Distrettuale, ha portato a termine l’operazione antimafia denominata “Primus”, che ha condotto all’arresto di 20 presunti affiliati al clan Scalisi di Adrano, legato alla ‘famiglia’ Laudani di Catania. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Catania, è il risultato di un’indagine condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Catania e dal Commissariato di Adrano, con il coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato.

Gli indagati sono accusati, con differenti profili di responsabilità, di reati quali associazione di tipo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e porto e detenzione illecita di armi da sparo, con l’aggravante di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza. Il procuratore Francesco Curcio, in conferenza stampa, ha descritto il clan Scalisi come una “mafia primordiale, congelata a realtà degli anni Novanta”, sottolineando che le sue modalità operative “rimandano a un tipo di convivenza che si riteneva superato”.

Secondo Curcio, il clan è caratterizzato da un’attività imprenditoriale limitata al traffico di droga, mentre il suo principale ambito d’azione resta il racket delle estorsioni, che colpisce anche piccoli operatori economici. Tra le vittime sono emerse anche aziende che operano nell’ambito del bonus 110%, e solo in un caso è stata sporta denuncia, mentre gli altri episodi sono stati ricostruiti grazie alle indagini delle forze dell’ordine.

L’inchiesta ha permesso di ricostruire l’organigramma del clan, evidenziando, secondo l’accusa, il ruolo di Alfio Di Primo, tornato in libertà nel 2021 e divenuto reggente del gruppo. Di Primo, secondo gli inquirenti, è descritto come il “principale” dagli affiliati, mentre il capo indiscusso, secondo la ricostruzione, resta Giuseppe Scarvaglieri, suo cognato, detenuto in regime di 41bis e considerato il “principale principale”.

Curcio ha evidenziato l’”attesa messianica” tra i giovani criminali di Adrano per la scarcerazione di Di Primo, vista come un simbolo di continuità e potere per il clan. L’operazione rappresenta un duro colpo alla criminalità organizzata nel territorio etneo, mettendo in luce un sistema di controllo mafioso basato su estorsioni nella tipica forma del “pizzo”, che soffoca il tessuto economico locale.