Violazione delle procedure e Libia instabile: il caso Almasri scuote il governo Meloni

Almasri

L’arresto e la successiva liberazione di Osama Najim, noto come Almasri, hanno sollevato un’ondata di polemiche e acceso uno scontro tra governo e magistratura. Il generale libico, capo della polizia giudiziaria in Libia e ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità, è stato arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 su mandato della stessa CPI. Dopo appena 96 ore, un tribunale italiano ha annullato il fermo per vizi procedurali, evidenziando la mancata approvazione del Ministero della Giustizia. La scarcerazione ha portato al suo immediato rimpatrio a bordo di un aereo dei servizi segreti italiani, scatenando l’ira dell’opposizione e delle istituzioni internazionali. L’intervento della Procura di Roma, che ha trasmesso il fascicolo a carico della premier Giorgia Meloni e di alcuni ministri al Tribunale dei Ministri, ha innescato un duro confronto istituzionale. Il Procuratore capo Francesco Lo Voi è ora al centro di attacchi politici, mentre la sua gestione del caso è oggetto di indagini da parte della Procura di Perugia. Quest’ultima valuterà un esposto trasmesso dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che accusa la Procura romana di aver violato la legge sui servizi segreti diffondendo informazioni riservate.

Il procuratore perugino Raffaele Cantone dovrà decidere se aprire un fascicolo a modello 45, senza indagati e ipotesi di reato, o se individuare eventuali responsabilità penali. Nel frattempo, Lo Voi si prepara a difendere il proprio operato davanti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), mentre al Consiglio superiore della magistratura (Csm) si discute una possibile incompatibilità funzionale per il procuratore di Roma. Nel faldone, anche la denuncia presentata dal cittadino sudanese Lam Magok Biel Ruei, che accusa Meloni e i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi di aver favorito la fuga di Almasri, sottraendolo alla giustizia internazionale. La Procura di Roma dovrà ora decidere se avviare un nuovo procedimento o accorpare l’esposto con quello già inviato al Tribunale dei Ministri dall’avvocato Luigi Li Gotti, che aveva già coinvolto diversi esponenti del governo.

Mentre l’Italia impegnata allo scontro istituzionale, il quadro geopolitico della Libia appare sempre più instabile. Secondo un rapporto del Copasir anticipato dal Messaggero, almeno 700mila migranti irregolari si trovano attualmente nel Paese nordafricano. La gestione dei flussi appare più sotto controllo in Cirenaica, grazie alla presenza del generale Khalifa Haftar, mentre in Tripolitania la situazione è fuori controllo. Il documento parlamentare evidenzia come la regione del Sahel sia divenuta un crocevia di traffici illeciti, dalla tratta di esseri umani alla vendita di armi, carburante e droga, approfittando della fragilità del governo libico. La relazione del Copasir mette inoltre in guardia sul ruolo della Russia, accusata di sfruttare la Libia come base logistica per traffici d’armi e di sostenere milizie mercenarie legate al Cremlino. Questi armamenti, secondo il rapporto, verrebbero poi dirottati verso il Mali e il Burkina Faso, due Stati dove Mosca ha consolidato la propria influenza con l’appoggio ai regimi golpisti. Anche la Cina viene indicata come un attore sempre più presente nel continente africano, dove cerca di espandere la propria sfera d’influenza attraverso investimenti e operazioni strategiche.

Il Copasir propone di rafforzare la presenza della NATO in Africa con una missione permanente, per contrastare la crescente influenza russa e cinese e stabilizzare la regione. Un’idea che acquista ulteriore rilevanza alla luce delle speculazioni su una possibile tregua imposta in Ucraina dal neo-presidente statunitense Donald Trump, che potrebbe favorire ulteriormente Mosca sullo scenario globale.

In questo contesto, l’affaire Almasri si inserisce in una partita geopolitica ben più ampia, con implicazioni che vanno oltre il solo ambito giudiziario italiano. La sua liberazione, secondo alcuni analisti, potrebbe essere stata motivata anche dal tentativo di evitare imbarazzi diplomatici riguardo agli accordi sui migranti siglati con la Libia nel 2017. L’Italia, infatti, è stata spesso accusata di chiudere un occhio sugli abusi perpetrati nei centri di detenzione libici pur di contenere i flussi migratori verso l’Europa. Il governo Meloni si trova così a fronteggiare attacchi su più fronti: dalle critiche dell’opposizione alla pressione delle istituzioni internazionali, passando per l’indagine della magistratura italiana. Mentre il caso Almasri continua a far discutere, la situazione in Libia resta esplosiva, confermando come il Mediterraneo sia ancora un epicentro di tensioni geopolitiche con conseguenze dirette anche per l’Italia.