La scarcerazione di Corona diventi responsabilità sociale nella Lotta alla Mafia
Giuseppe Corona, 56 anni, condannato per mafia e recentemente scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è ora sottoposto a rigide misure di sicurezza: divieto di dimora in Sicilia, limitazioni di movimento serali e notturni, e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria del luogo in cui risiederà. La Corte d’appello di Palermo ha emesso il provvedimento su richiesta della Procura generale, a seguito del rilascio di Corona, ritenuto uno dei boss emergenti del mandamento di Resuttana e San Lorenzo.
Corona, condannato a 15 anni e 2 mesi, era stato in precedenza detenuto sotto il regime di carcere duro del 41 bis. Tuttavia, la scarcerazione è avvenuta dopo una riduzione della pena, dovuta all’eliminazione dell’aggravante del reimpiego nell’economia legale dei proventi illeciti. Tale modifica ha ridotto il termine massimo di custodia cautelare da nove a sei anni, permettendo così agli avvocati di Corona di richiederne il rilascio. La Corte d’appello, al momento della scarcerazione, non aveva disposto misure alternative, poiché non richieste dalla Procura generale, che successivamente ha invece sollecitato restrizioni, prontamente accolte.
L’uscita di Corona dal carcere ha sollevato polemiche, poiché è avvenuta parallelamente a quella di dieci altri mafiosi del Trapanese, vicini a Matteo Messina Denaro, generando preoccupazione e critiche. La scarcerazione di questi individui, anche se prevista nel corso normale delle fasi processuali, mette in evidenza alcune criticità del sistema giudiziario, soprattutto in termini di tempi di deposito delle motivazioni, che avrebbero potuto impedire il rilascio anticipato.
Giuseppe Corona, noto come il “re delle scommesse” dell’Ippodromo di Palermo, è considerato un’importante figura per il riciclaggio di denaro per conto dei clan di Porta Nuova e Resuttana, con investimenti in centri scommesse, compro oro e altre attività. La sua liberazione sottolinea la complessità di una lotta alla mafia che non si limita al contrasto diretto, ma deve affrontare anche le dinamiche sociali che alimentano e sostengono queste organizzazioni.
La Mafia in Sicilia e la sfida alla criminalità organizzata: La mafia siciliana, Cosa Nostra, è radicata nel territorio siciliano da oltre un secolo. Storicamente, la sua influenza è stata più marcata nella Sicilia occidentale, in particolare a Palermo, dove il territorio è suddiviso in mandamenti che comprendono numerose famiglie. Nella Sicilia orientale, invece, sono attivi gruppi mafiosi affiliati a Cosa Nostra, come i clan Santapaola-Ercolano e Mazzei nella provincia di Catania, che seguono un’organizzazione simile.
Un sistema Giudiziario tra norme e difficoltà operative: Il caso Corona evidenzia le difficoltà operative del sistema giudiziario nel mantenere al sicuro individui considerati socialmente pericolosi. Sebbene la presunzione di innocenza sia un principio fondamentale, la possibilità che individui già condannati per mafia possano usufruire di permessi premio o semilibertà solleva un dibattito sulla sicurezza della società. La lentezza nella stesura delle motivazioni delle sentenze e i cavilli procedurali permettono, infatti, che alcuni condannati possano ottenere scarcerazioni anticipate, sfruttando i tecnicismi della legge.
In un Paese con una lunga e dolorosa storia di lotta alla mafia, non si può ignorare il rischio di questi “incidenti di percorso” che possono vanificare anni di lavoro investigativo e di sacrifici da parte delle forze dell’ordine e dei magistrati. Serve maggiore attenzione non solo nella gestione dei processi, ma anche una riflessione seria sull’adeguatezza delle normative attuali per i crimini di stampo mafioso.
Responsabilità Sociale: Al di là del ruolo delle istituzioni, la società civile gioca un ruolo fondamentale nel combattere l’influenza mafiosa. Storicamente, il successo della mafia è dipeso in parte dal suo radicamento sociale, dal consenso e dalla complicità silenziosa di coloro che, per paura o interesse, hanno preferito rimanere in silenzio. La lotta alla mafia, quindi, non può limitarsi a un’azione repressiva, ma deve diventare un impegno culturale e sociale, un percorso di educazione alla legalità.
L’uscita di Giuseppe Corona dal carcere è un segnale preoccupante che richiama l’urgenza di continuare a lavorare per disinnescare quel senso di onnipotenza che circonda i mafiosi. Non è sufficiente attendere l’azione dello Stato: ogni cittadino può contribuire, nel suo piccolo, a creare una società che rifiuti ogni forma di connivenza e silenzio, per spezzare quella rete di supporto che alimenta la mafia.