Le donne e l’ombra di Matteo Messina Denaro rivelano uno spaccato sorprendente della rete che ha protetto il superlatitante per anni. L’intera vicenda non si limita ai fatti di mafia e alle dinamiche del crimine organizzato, ma include anche aspetti privati e relazionali che hanno garantito una latitanza tanto duratura. In particolare, emergono tre figure femminili capaci di svelare l’intreccio tra sentimenti, tradimenti e connivenze: Laura Bonafede, Floriana Calcagno e Franca Alagna. La prima, considerata la storica amante di Messina Denaro, in un messaggio intriso di gelosia tira in ballo “Acchina”, ovvero il soprannome di Floriana Calcagno, un’insegnante di matematica ultracinquantenne, arrestata con l’accusa di favoreggiamento aggravato.
Per gli inquirenti, la Calcagno non solo trasportava informazioni, ma offriva anche un supporto logistico al boss, agendo da “staffetta” nei suoi spostamenti e mettendo a disposizione contatti preziosi all’interno della cosca di Campobello. Sposata con un uomo già condannato per reati simili, questa donna risulta essere nipote di un boss locale, e proprio grazie a questi legami di sangue avrebbe agevolato la fuga di Messina Denaro. Una fitta rete di parentele e rapporti economici faceva da cornice alle azioni concrete di sostegno, a cui si aggiungeva la complicità di persone disposte a chiudere un occhio di fronte a movimenti sospetti. Le telecamere di sorveglianza, disseminate in diversi punti strategici, non hanno lasciato spazio ai dubbi, immortalandoli insieme in momenti di vita ordinaria, come brevi tragitti in auto o cene fuori, ma anche in situazioni più riservate, ad esempio nei pressi della casa al mare di Tre Fontane.
A fronte delle prove raccolte, la Calcagno ha sostenuto di aver incontrato il boss per puro caso, presentandosi lui come “Francesco Salsi”, presunto medico in pensione. Questa versione è stata però considerata poco credibile dai magistrati, che hanno smontato la difesa della donna incrociando immagini video, tabulati telefonici e intercettazioni. Nel frattempo, dal canto suo, Laura Bonafede, colpita dalla gelosia, rivelava attraverso i propri messaggi la presenza ingombrante della donna accanto a Messina Denaro, lamentandosi di quanto la “Acchina” fosse utile al boss in modi a lei sconosciuti. Questo quadro delinea un uso molto preciso delle relazioni sentimentali, in cui il legame affettivo si trasforma in strumento di controllo e influenza. Messina Denaro pare infatti aver sfruttato la vicinanza emotiva con determinate persone per garantirsi un appoggio incondizionato, costruendo un sistema in cui amore, gelosia e paura si mescolavano, offrendo al latitante una sorta di scudo protettivo e un’ampia riserva di favori.
In questo scenario si inserisce la storia di Franca Alagna, ufficialmente compagna di Messina Denaro e madre di sua figlia. La donna, secondo alcuni racconti, ha trascorso un lungo periodo nella casa di famiglia del boss a Castelvetrano, controllata secondo le ricostruzione, dalla madre e dalle zie di lui. Ma nonostante questo vincolo, è rimasta sempre ai margini, quasi ignorata pubblicamente, fino a quando i magistrati della Procura di Palermo non hanno deciso di sentirla come persona informata sui fatti. Da quell’audizione è emerso che la Alagna avrebbe smesso di vedere Messina Denaro a partire dal 1995, cioè dal momento in cui scoprì di essere incinta. Una ricostruzione verosimile se si considera che, nei suoi diari indirizzati alla figlia, il boss mostra un astio feroce verso la compagna e la madre di lei, accusandole di aver tentato di convincere la Alagna ad abortire.
Le sue parole, intrise di narcisismo e maschilismo, lasciano trasparire una profonda mancanza di rispetto: di fronte alle difficoltà di mantenere una relazione stabile durante la latitanza, l’uomo sfoga i propri rancori addossandone la colpa alle donne che lo circondano. Nelle pagine di quei diari si legge anche l’accusa contro la figlia, definita “degenerata”, colpevole di essersi distaccata dallo stile di vita imposto dal padre e dalla cerchia familiare. Appare qui la figura di un boss che unisce al potere mafioso una visione distorta dei rapporti familiari, in cui le donne non hanno alcuna autonomia se non quella di eseguire o accettare le sue scelte, rimanendo relegate in un ruolo di contorno.
L’obiettivo è comprendere a fondo come un boss tra i più ricercati in Italia sia riuscito a vivere così a lungo lontano dalle patrie galere, contando evidentemente su una vera e propria rete che, anche attraverso i sentimenti, ha saputo offrire al latitante un appiglio sicuro. Per anni si è creduto che il potere di Messina Denaro derivasse solo dai suoi sodali maschi, ma oggi appare chiaro come, in realtà, il sostegno femminile sia stato altrettanto determinante. Non si parla soltanto di donne “vittime” o sottomesse, bensì di soggetti che, in alcuni casi, avrebbero svolto un ruolo attivo e strategico nella protezione del boss, consapevoli, secondo la ricostruzione, di essere parte di un ingranaggio criminale ben oliato.
Restano da chiarire molti aspetti: dove si trovassero i luoghi di incontro, chi fornisse i mezzi per gli spostamenti, come venissero gestiti i canali di comunicazione più sicuri e chi, all’interno della compagine mafiosa, coordinasse tali operazioni in sinergia con gli spostamenti effettivi di Messina Denaro.
In definitiva, l’attuale quadro investigativo testimonia come le donne attorno a Messina Denaro non siano semplici comprimarie di passaggio, ma pedine importanti in una catena che ha permesso a un latitante carismatico e spietato di sottrarsi per decenni alla giustizia, grazie a un gioco di alleanze e contrapposizioni alimentato anche da sentimenti di gelosia, rivalità e speranza di ottenere vantaggi. Quello che emerge è uno scenario in cui l’amore, la passione e persino la maternità vengono strumentalizzati per consolidare il potere, rafforzare la segretezza e coprire le tracce di un uomo che ha saputo fare delle relazioni personali un vero e proprio dispositivo di difesa. Le indagini, tuttora in corso, proseguono proprio in questa direzione, cercando di decifrare ogni anello della catena che legava le donne al superlatitante, convinte o forse costrette, ma comunque complici di una storia che mescola crimine, tradimento e desiderio di potere.