A Palermo, la mafia si avvale da sempre di una rete di professionisti insospettabili – commercialisti, notai, architetti – spesso legati alla massoneria, che operano nell’ombra per gestire e occultare i capitali dei clan.
Nel 1974, il commercialista massone Pino Mandalari ospitava Totò Riina, segnando l’inizio delle indagini sui nuovi signori di Palermo. Cinquant’anni dopo, il procuratore Maurizio de Lucia ha sottolineato in un’intervista a Repubblica, pubblicata nell’agosto scorso in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Libero Grassi, come la “zona grigia” di professionisti al servizio della mafia continui a esistere: “La borghesia mafiosa sopravvive, gestendo vecchi capitali e forme nuove di accumulazione”.
Processi e Intercettazioni
Oggi, a Palermo, quattro professionisti sono sotto processo: Fabio Petruzzella e Giuseppe Mesia, commercialisti; Sergio Tripodo, notaio; e Achille Andò, architetto ritenuto massone. Petruzzella è accusato di riciclaggio per aver gestito i capitali di Francesco Zummo, coinvolto nel “sacco” di Palermo, con la procura che ha chiesto nove anni di carcere.
Giuseppe Mesia, intercettato mentre collaborava con il boss Salvatore Genova, è accusato di essere la mente imprenditoriale del clan di Resuttana. Sergio Tripodo, notaio, avrebbe utilizzato mafiosi per sgomberare appartamenti di sua proprietà. Achille Andò, architetto massone, è invece legato alla gestione dell’ippodromo di Palermo, sfruttando connessioni politiche per sbloccare fondi ministeriali.
Una Tradizione di Complicità
Nonostante la repressione, la borghesia mafiosa continua a proteggere gli interessi della mafia. Marcello Marcatajo, avvocato arrestato per aver investito denaro mafioso, lamentava: “Per non perdere 150 mila euro ho fatto un’idiozia”. Questa rete di consulenti e facilitatori rappresenta ancora oggi un ostacolo significativo nella lotta contro Cosa Nostra. La ricostruzione integrale, su i tesori dei padrini, scritto da Salvo Palazzolo per Repubblica Palermo.