Undici fedelissimi di Matteo Messina Denaro sono stati scarcerati, a causa della scadenza dei termini di custodia cautelare. Tra loro, due boss detenuti al 41 bis: Nicola Accardo, condannato a 10 anni, e Vincenzo La Cascia, condannato a 9 anni e 8 mesi. La decisione è stata presa dalla corte d’appello di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, dopo che la Cassazione aveva annullato una sentenza precedente, eliminando alcune aggravanti.
Gli arresti risalgono al 2018, durante l’operazione “Anno Zero”, condotta da carabinieri e polizia sotto la direzione della Dda di Palermo. All’epoca, i mafiosi vennero condannati in abbreviato a pene complessive per oltre un secolo di carcere. Tuttavia, la sentenza della Cassazione del 2023 ha costretto la corte d’appello a rivedere i termini di custodia cautelare, ridotti da nove a sei anni, portando così alla scarcerazione degli imputati.
Tra gli scarcerati, oltre ai già citati Accardo e La Cascia, figurano Antonino Triolo, Giuseppe Tilotta, Bartolomeo Tilotta, Giuseppe Paolo Bongiorno, Calogero Guarino, Angelo Greco, Raffaele Urso, Andrea Valenti e Filippo Dell’Aquila. Tutti coinvolti nella rete di protezione di Messina Denaro e, in particolare, Raffaele Urso, considerato una figura chiave per i legami del boss con la Capitale.
Urso, soprannominato “l’ambasciatore” di Messina Denaro a Roma, è descritto come un uomo del mistero. Nei suoi incontri d’affari nella Capitale, Urso utilizzava luoghi insoliti come ristoranti e discoteche per mantenere un basso profilo, evitando di farsi notare come mafioso in missione. Nonostante il suo riserbo in carcere, le intercettazioni e le indagini dei carabinieri hanno rivelato una fitta rete di relazioni, ancora oggi avvolta nel mistero.
La scarcerazione di questi uomini rappresenta una grave conseguenza della lentezza della giustizia e della complessità del sistema giudiziario italiano.