Il lavoro del futuro è in mano agli algoritmi e ai consumatori, mentre i lavoratori sono sempre più condizionati da sistemi digitali che monitorano, assegnano e valutano la loro performance. Questo modello, che continua a diffondersi, presenta sfide e opportunità, ma solleva anche questioni importanti sul benessere dei lavoratori, la trasparenza delle piattaforme e il ruolo crescente dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro.

Nel futuro del lavoro, il vero potere è sempre più nelle mani dei clienti e degli algoritmi. La crescente diffusione del “lavoro a chiamata” e delle piattaforme digitali ha ridefinito le dinamiche tradizionali, rendendo i lavoratori dipendenti da algoritmi per il coordinamento delle loro attività e dai giudizi dei consumatori per il controllo della qualità. Questo fenomeno ha preso piede ormai da diversi anni e rappresenta un cambiamento profondo nell’organizzazione del lavoro.

Già nel 2014, *The Economist* aveva messo in copertina un’immagine simbolica di un rubinetto d’oro, da cui uscivano figure come autisti, medici, e lavoratori domestici, a rappresentare l’ascesa del lavoro intermittente regolato dalle piattaforme digitali. Con il passare del tempo, le piattaforme come Uber, Glovo, Amazon e altre hanno rivoluzionato il modo in cui domanda e offerta di lavoro si incontrano, creando nuovi modelli organizzativi che coinvolgono sia il settore dei servizi che quello manifatturiero.

Uno degli aspetti più discussi di questo nuovo modello è il *management algoritmico*. Gli algoritmi non solo distribuiscono il lavoro, ma ne monitorano anche l’efficienza e la qualità. Questo sistema di gestione ha sollevato numerose critiche, soprattutto per la sua opacità e per i rischi di discriminazione. I primi segnali di malcontento sono emersi già nel 2015, con le proteste dei lavoratori di Uber contro l’algoritmo che gestiva le loro corse. Da lì, altri casi simili hanno fatto notizia, come gli scioperi contro l’algoritmo “Frank” di Deliveroo, o le proteste dei lavoratori di Amazon Mechanical Turk. Molte delle critiche sono legate alla crescente pressione che questi algoritmi impongono sui lavoratori, intensificando il ritmo e la quantità di lavoro richiesto.

Un’altra caratteristica dirompente di questo modello è il ruolo attivo dei consumatori. In molte piattaforme, i clienti valutano il lavoro svolto dai singoli operatori, e queste valutazioni determinano la futura disponibilità del lavoratore a ricevere incarichi o la sua permanenza sulla piattaforma. Questo sistema di valutazione ha ormai raggiunto anche professioni tradizionalmente considerate qualificate, come medici e insegnanti, dove i giudizi dei pazienti e degli studenti influenzano la carriera e le opportunità di crescita dei professionisti.

Nonostante ricerche dimostrino l’inefficacia delle valutazioni dei clienti come strumento di misurazione della performance, il modello continua a diffondersi. Nel settore sanitario, ad esempio, i giudizi dei pazienti possono sostituire il giudizio degli esperti, creando dinamiche che rischiano di compromettere la qualità complessiva dei servizi.

L’impatto di questo modello si estende anche oltre la gestione del lavoro. La centralità dei clienti non è più soltanto una strategia di marketing: i dati che questi ultimi generano nel corso delle interazioni digitali diventano essenziali per ottimizzare i processi di produzione e migliorare l’offerta di servizi. Netflix, per esempio, utilizza i dati degli utenti per adattare i propri contenuti alle preferenze degli spettatori, rendendo sempre più efficiente la creazione di nuovi programmi.

Tuttavia, mentre il modello delle piattaforme cresce, emergono nuove criticità. Se da un lato queste piattaforme sembrano offrire maggiori tutele ai lavoratori rispetto a prima, dall’altro lato si sviluppano nuovi problemi legati alla trasparenza, alla frammentazione del lavoro e all’utilizzo massiccio di Intelligenza Artificiale per il controllo e la gestione delle attività.