Su delega della Procura di Catania, con alla guida il procuratore capo facente funzioni Agata Santonocito, i Carabinieri, hanno eseguito, nove provvedimenti, nei confronti di soggetti, alcuni ritenuti legati anche da vincoli di parentela ad esponenti di vertice della famiglia “Santapaola-Ercolano”, accusati dei reati di Associazione di tipo mafioso, detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, detenzione e porto illegale d’arma da fuoco, con l’aggravante di aver commesso il fatto con la finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa di appartenenza.
I provvedimenti eseguiti, è il frutto di una indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata dalla Procura di Catania e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania.
Secondo la ricostruzione, le indagini, avrebbero fatto emergere la pianificazione, in stadio avanzato, di un omicidio ai danni di Pietro Gagliano (soggetto indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al contrapposto clan “Cappello – Bonaccorsi”) ad opera di alcuni personaggi di spicco del clan “Santapaola-Ercolano”.
In particolare, il progetto sarebbe stato originato da quanto accaduto la sera del 21 ottobre 2023 nella zona del “Passereddu”, quartiere San Cristoforo, dove – all’esito di una discussione tra appartenenti ai clan – Pietro Salvatore Gagliano avrebbe esploso quattro colpi di arma da fuoco nei confronti di appartenenti alla famiglia di “Cosa Nostra” catanese.
Due di questi ultimi, rimasti illesi, si sarebbero immediatamente messo a lavoro per organizzare una vendetta armata, al fine punire l’affronto subito, nonostante il parere contrario di altri esponenti del gruppo criminale.
Emblematico, secondo la ricostruzione degli investigatori, il ruolo di Ercolano Sebastiano, figlio di Mario Ercolano, condannato all’ergastolo per omicidio, e nipote di Aldo (anch’esso detenuto, in espiazione di condanna per associazione mafiosa emessa a seguito del processo nato dall’operazione di polizia cosiddetta “Dionisio”).
Entrambi i fratelli, Mario ed Aldo, sono cugini del più noto Aldo Ercolano, detenuto all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, a sua volta figlio di Giuseppe Ercolano, sposato con Grazia Santapaola, sorella di Benedetto, capo storico della famiglia.
Secondo quanto emerso nelle indagini, Sebastiano Ercolano, per lavare l’onta subita e riaffermare la “credibilità” della famiglia di Cosa Nostra etnea, sarebbe stato, secondo l’accusa, “uno degli ideatori ed organizzatori del progetto”, spingendosi sino ad effettuare un sopralluogo presso l’immobile dove si nascondeva Gagliano, dove valutare in prima persona il miglior modus operandi che avrebbe garantito ai killer di poter colpire la vittima e, in tempi brevissimi, fuggire, e quindi eliminare tracce, e crearsi anche un alibi.
Nel complesso, l’attività investigativa, condotta e finalizzata grazie ad attività tecnica e ai serrati riscontri sul territorio, sarebbe riuscita a dimostrare il tentativo degli indagati di riorganizzare gli assetti del gruppo “Santapaola – Ercolano”, messo in ginocchio, grazie all’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia.
Secondo la ricostruzione, “il giovane Sebastiano Ercolano avrebbe cercato di prendere le redini dell’associazione, sempre più concentrata a reperire sia le risorse finanziarie (dando nuovo slancio ai business criminali, derivanti per lo più dall’attività di spaccio di ingenti quantità di cocaina, hashish e marijuana), sia le armi necessarie a rafforzare la capacità d’intimidazione e a contrastare i clan rivali, così come ampiamente documentato dall’indagine”.
Risulta allarmante, il numero di armi nella disponibilità degli indagati, la capacità degli stessi di munirsi di sempre nuove armi più performanti e l’esistenza di un mercato assolutamente fiorente e trasversale in quanto capace di soddisfare la domanda di tutti i sodalizi mafiosi, senza differenze di Clan.
Nel corso dell’attività di indagine, più volte sarebbe emerso la netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi” (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro.
È emersa in particolare la posizione di Davide Enrico Finocchiaro, gravemente indiziato, allo stato, ritenuto, “di essere responsabile dello storico gruppo del Villaggio Sant’Agata”, che avrebbe più volte rivendicato con orgoglio la propria appartenenza a Cosa Nostra catanese anche in quanto espressione di un gruppo “insignito di medaglie” ovvero “i morti, gli ergastolani”, volendo alludere ai sodali uccisi e agli omicidi commessi dal gruppo, così involontariamente ribadendo e confermando che il credito mafioso derivava in primis dalla potenza militare, dalla capacità di uccidere, dalla capacità di affrontare il carcere e scontare l’ergastolo, senza farsi fiaccare dalla carcerazione e, soprattutto senza collaborare con la giustizia.
Le indagini, avrebbero ricostruito, anche le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa Nostra etnea, nonché tra gruppi e Clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.
I militari, avrebbero documentato anche i momenti di fibrillazione, in particolare il 19 ottobre del 2022, dove i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Catania, hanno tratto in arresto in flagranza con l’accusa di “detenzione illegale di armi e munizioni”, un 35enne catanese già noto e ritenuto intraneo al “gruppo Nizza” della famiglia “Santapaola-Ercolano”.
I militari, lo avrebbero fermato in viale Moncada, dove è stato trovato in possesso di un revolver Franchi, con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno, nascosto nella cinta dei pantaloni.
Da qui, sono scattate le perquisizione all’interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di due scale di una stessa palazzina, dove è stato rinvenuto un piccolo arsenale e droga. Ma non è tutto, il gruppo era in possesso anche di un lampeggiante blu, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento.
Da ultimo, nell’ambito dello stesso contesto investigativo, il 20 novembre scorso, i Carabinieri hanno tratto in arresto, con l’accusa di “detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente” e “resistenza a pubblico ufficiale”, due soggetti i quali, all’esito di un inseguimento in territorio di Canicattì (AG), sono stati bloccati e trovati in possesso di circa un chilogrammo di cocaina, a quanto pare ricevuta appena un’ora prima nel capoluogo etneo.
I nove destinatari di fermo, a seguito di intensa attività info-investigativa e di ricerca sul territorio attuata dai Carabinieri, sono stati rintracciati e condotti presso istituti penitenziari, dove l’Autorità Giudiziaria, ha convalidato il fermo per Antonino Razza – che resta in carcere – , disponendo invece per gli altri otto soggetti la misura della custodia cautelare in carcere. Tra i destinatari, Salvatore Assinnata, del 72, Giuseppe Cultraro, del 1980, Sebastiano Ercolano, del 2003; Davide Enrico Finocchiaro, del 1985, Salvatore Finocchiaro, del 1975, Salvatore Pietro Gagliano, nato a Catania il 3.8.1997; Salvatore Poidomani, del 1971, Antonino Razza, del 1988; Samuele Romeo, del 1999.