Catania, l’allarme della magistratura: la “mafia grigia” si evolve
Quella di ieri non è stata la consueta inaugurazione dell’anno giudiziario, ma un autentico grido d’allarme lanciato dalla magistratura. La mafia non solo persiste, ma continua a prosperare, adattandosi ai cambiamenti dei tempi e trasformandosi per mantenere il controllo sul territorio e sui settori chiave dell’economia.
A Catania, il presidente della Corte d’Appello, Filippo Pennisi, ha delineato un quadro allarmante della criminalità organizzata, evidenziando il ricambio generazionale in corso. Pennisi ha sottolineato come la nuova generazione di mafiosi sia caratterizzata da una spregiudicatezza e un’irruenza che si distanziano dai codici tradizionali della “vecchia mafia”. Questa nuova generazione, dedita all’ostentazione di status symbol anche sui social media, rappresenta un pericolo per la sua imprevedibilità. Emblematico è il caso di un procedimento che ha coinvolto 22 affiliati del Villaggio Sant’Agata, dove i giovani del clan avevano pianificato l’omicidio di un rivale del clan Cappello. Solo l’intervento tempestivo dei carabinieri ha impedito che il piano venisse attuato, dimostrando il rischio derivante dalla perdita dei tradizionali codici di controllo interni. La relazione ha richiamato l’attenzione sullo scontro a fuoco avvenuto l’8 agosto 2020 tra membri del clan Cappello e dei “cursoti milanesi”, un evento che ha causato due morti e sette feriti, dimostrando che, sebbene sporadiche, le conflittualità rimangono una realtà del panorama criminale catanese.
Pennisi ha poi evidenziato il crescente ruolo delle donne nelle organizzazioni mafiose. Non si tratta di “regine”, ma di figure che assumono il comando delle attività illecite in sostituzione di mariti, figli o fratelli detenuti. Le donne diventano così pilastri delle consorterie mafiose, soprattutto nel traffico di stupefacenti, spesso in collaborazione con la ‘ndrangheta e la camorra. Questo fenomeno riflette una trasformazione profonda nel modus operandi delle organizzazioni criminali.
Cosa nostra catanese, definita da Pennisi una “mafia grigia”, è caratterizzata da un livello sofisticato e invisibile, in grado di infiltrarsi nei settori chiave dell’economia. Grazie al cosiddetto “sistema dell’inabissamento”, riesce a nascondere molte delle sue attività, ma i processi rivelano una realtà ben chiara: i mafiosi catanesi hanno le mani su appalti pubblici, filiere petrolifere, grande distribuzione e lavorazione di prodotti agricoli. In queste infiltrazioni sono spesso coinvolti imprenditori e professionisti insospettabili, utilizzati come prestanome per il riciclaggio di capitali illeciti.
La relazione ha toccato anche temi sociali, evidenziando come la devianza minorile e l’abbandono scolastico siano legati a un contesto di degrado sociale e disgregazione familiare. Pennisi ha espresso speranza per l’inclusione del quartiere San Cristoforo nel “decreto Caivano bis”, che destina fondi al recupero sociale e al contrasto del disagio giovanile, dando concreta attuazione al principio costituzionale della pena come strumento rieducativo.
Anche il procuratore generale Carmelo Zuccaro ha richiamato l’attenzione sulla necessità di interventi strutturali. Zuccaro ha sottolineato che il problema della sicurezza non può essere affrontato solo dalle forze investigative, ma richiede un impegno da parte dei pubblici amministratori per rimuovere le cause profonde del malessere sociale che alimentano il crimine.
La cerimonia è stata inoltre segnata dalla protesta dell’Associazione Nazionale Magistrati, che ha abbandonato l’aula in segno di dissenso durante l’intervento del giudice Giuseppe Fichera, inviato dal Ministero della Giustizia. Una nota dell’Anm ha riportato che un rappresentante del Governo presente in platea avrebbe definito la protesta “una vergogna, come i metalmeccanici”. Qualora confermata, la frase è stata giudicata dall’Anm come “tristemente classista e discriminatoria”.
A sottolineare l’importanza e la delicatezza del momento, a Palermo, è intervenuto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, che ha evidenziato come “Cosa nostra mantenga intatta la sua estrema pericolosità, operando silenziosamente per mimetizzarsi e orientarsi verso investimenti speculativi”. In precedenza, la procuratrice generale Lia Sava aveva richiamato l’attenzione sull’interesse costante dell’organizzazione mafiosa per le grandi opere pubbliche e la gestione dei fondi del Pnrr, definendoli un obiettivo strategico mai abbandonato. “Gli interessi mafiosi — ha dichiarato — si concentrano principalmente su questi fondi, grazie alla complicità di funzionari pubblici corrotti. Anche il settore dei subappalti rappresenta un terreno fertile per le infiltrazioni, alimentato da ambigue e preoccupanti relazioni riservate tra esponenti mafiosi e amministratori locali”.
Si respira un senso di deja-vu. “O forse — riflettono gli studenti di un liceo palermitano presenti al Palazzo di Giustizia — non hanno mai veramente abbandonato il controllo dei gangli vitali della società siciliana”. Lia Sava ha chiuso il suo intervento con un avvertimento: “Siamo di fronte a una persistente “cultura mafiosa” che non accenna a scomparire. Le famiglie criminali continuano a puntare non solo sull’economia illegale, come droga ed estorsioni, ma anche su quella legale, sfruttando la collaborazione di imprenditori privi di scrupoli”.