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Il trapper neomelodico Pandetta arrestato a Milano

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aveva in tasca 12 mila euro

Il trapper neomelodico Vincenzo Pandetta, in arte Niko, e’ stato arrestato a Milano dalla Polizia in esecuzione di ordine di carcerazione per una condanna a 4 anni per spaccio ed evasione. Verdetto divenuto definitivo lo scorso 11 ottobre quando la Cassazione ha respinto il ricorso dei legali del cantante. Il 31enne catanese dopo aver pubblicizzato la notizia della sua condanna sui social si era sottratto al provvedimento, ma e’ stato rintracciato in zona Quarto Oggiaro dagli agenti della Sezione Criminalita’ organizzata della Squadra mobile di Milano.

Vincenzo Pandetta, in arte ‘Niko’, secondo la ricostruzione, aveva in tasca 12 mila euro. Il particolare è emerso dopo che la polizia lo ha arrestato. Secondo quanto si è appreso il rapper ha dormito in una stanza affittata dal suo manager, un uomo di 33 anni di origini albanesi, che stamani era con lui nelle fasi precedenti all’arresto. Con Pandetta c’era anche un amico, di 38 anni, con precedenti per falso, alla guida dell’auto sulla quale è stato poi bloccato. La posizione dei due è al vaglio dell’autorità giudiziaria; non si esclude che possa essergli contestata la ‘procurata inosservanza di pena’ essendo il rapper consapevole di essere latitante (aveva pubblicato dei post sui social in proposito).

Pandetta, residente a Catania, probabilmente alloggiava da alcuni giorni nell’appartamento affittato in uno stabile di via Michetti, nella zona Nord di Milano. Il rapper è un abituale frequentatore del capoluogo lombardo, sia per le serate di movida nei locali sia per tifo calcistico. Sceso da casa intorno alle 8 in compagnia del manager, è stato lasciato salire sull’auto guidata dall’amico dagli agenti appostati in zona e poi fermato a un semaforo rosso in via Lessona. Ai poliziotti è sembrato sorpreso, e avrebbe confermato di essere venuto a Milano per firmare un contratto discografico asserendo che poi si sarebbe consegnato. Ora si trova in Questura in attesa di essere trasferito in carcere.

Recentemente Pandetta e’ stato al centro di una rissa con il ferimento di una persona, avvenuta nell’Ecs dogana, una discoteca all’interno del porto di Catania tra due frange criminali, I Mazzei da una parte e i Cappello dall’altra. In quell’occasione era l’estate scorsa la procura chiese in suo arresto, ma il gia’ glielo nego’. Da allora, in mezza Italia, soprattutto al Sud, prefetture e questure hanno vietato le sue performance in piazza. Nelle sue canzoni il rapper racconta le difficolta’ della sua vita, e parla apertamente di mafia, da profondo conoscitore di determinate dinamiche, anche se piu’ volte ha provato a redimersi.

In alcune canzoni si lascia andare a questi versi, parlando dello zio boss: “Zio Turi io ti ringrazio ancora per tutto quello che fai per me, sei stato tu la scuola di vita che mi ha insegnato a vivere con onore, per colpa di questi pentiti sei chiuso la’ dentro al 41 bis”. In un post sui social si e’ detto pentito pero’ per quello che ha fatto in passato, raccontando le fasi della sua vita, la prima, quando ha sbagliato, quando ha pagato per i suoi sbagli e quando ha combattuto per costruirsi un futuro, che pero’ in questo periodo gli viene negato “da chi non vuole che si rifaccia una vita”.

Un cumulo pena, ordinato dalla procura generale di Catania, ha portato all’arresto di Vincenzo Pandetta che deve scontare una condanna a meno di 4 anni di carcere per spaccio avvenuto nel 2012 con sentenza diventata definitiva, alla quale si e’ aggiunta un’altra vecchia condanna a 5 mesi per evasione. I quattro anni e i cinque mesi, messi assieme, hanno di fatto superato il limite (4 anni) per il quale l’arresto non avviene.

E’ stato il suo legale, l’avvocato Maria Chiaramonte a precisare che non vi era alcuna motivazione per Pandetta di rendersi irreperibile: “sapeva del provvedimento e stava per fare rientro a Catania, stava andando all’aeroporto – spiega il legale – non solo: i due che erano con lui, e tra questi il suo impresario albanese, sono stati rilasciati poco dopo il fermo. Per loro non c’e’ stato alcun motivo di contestazione del reato di favoreggiamento”.

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