Catania

La cresta sullo smaltimento di rifiuti pericolosi, annullate in Cassazione le condanne

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La Corte di cassazione ha annullato senza rinvio le condanne che erano state inflitte all’architetto Gianfranco Cannova, funzionario dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente e al titolare della Oikos, Domenico Proto, che gestiva la discarica di Motta Sant’Anastasia. Si tratta degli ultimi due indagati del filone legato alla discarica di catania dell’operazione Terra mia del 2017.

Le condanne annullate
Cannova, difeso dall’avvocato Massimo Motisi, in primo grado era stato condannato a nove anni mentre in secondo grado la pena era scesa a sette anni.  Proto, difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto Franco Coppi e Filippo Dinacci, era stato condannato alla medesima pena, sei anni, sia in primo che in secondo grado.

Sempre in appello era stata confermata la prescrizione per i fratelli Nicola e Calogero Sodano, e nei confronti di Giuseppe Antonioli, amministratore delegato della discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, in provincia di Messina. Questi ultimi in primo grado erano stati condannati a quattro anni ciascuno.

Per Proto e Cannova, unici due rimasti nel procedimento, i giudici della Suprema corte hanno accolto la tesi degli avvocati secondo cui i reati erano ormai tutti prescritti.

L’inchiesta e le accuse
Tutti erano stati coinvolti nell’indagine che aveva messo in luce un giro di mazzette per l’ottenimento di autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti nelle discariche. Gli imputati, fermati 5 anni fa nell’ambito dell’operazione Terra Mia, erano accusati di corruzione. Secondo le indagini sarebbero state pagate tangenti che non consistevano solo in mazzette ma anche in “regali” come megatelevisori, viaggi e persino escort.

L’inchiesta aveva portato complessivamente a 14 arresti per traffico illecito di rifiuti. Nell’ambito delle indagini un filone aveva riguardati le presunte mazzette legata alla discarica catanese.

Tre misure interdittive erano state disposte dal Gip. Nel corso dell’operazione, i finanzieri del Gico avevano anche sequestrato quote societarie riconducibili ad alcuni degli indagati. Il provvedimento era finalizzato alla confisca di 6 imprese e dei rispettivi beni aziendali il cui valore complessivo era stimato in 50 milioni di euro.

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Redazione

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