Catania

Mafia, si pente esponente del clan Cappello

Si chiama Michele Vinciguerra, 56 anni, catanese, il nuovo pentito di mafia, che, da almeno due settimane, sta collaborando con la Procura etnea, svelando i segreti del clan Cappello, cosca a cui era affiliato.Conosciuto con il soprannome di Curdunaro, il neo collaboratore di giustizia starebbe fornendo informazioni delicate sui traffici di droga nei rioni più importanti di Catania, tra cui San Cristoforo e Tondicello ma anche i legami tra la consorteria criminale di cui ha fatto parte fino a qualche tempo fa e le organizzazioni criminali di Siracusa e Palermo.

Vinciguerra ha alle spalle una lunga militanza con la cosca Capello: oltre ad essere stato condannato nell’ambito del processo dell’inchiesta Revenge, era stato scarcerato nel dicembre scorso salvo poi finire nelle rete della Procura distrettuale antimafia di Catania al termine dell’operazione Kynara, che ha alzato il velo su un vorticoso traffico di droga nel quartiere di San Cristoforo.

Tra i neo collaboratori di giustizia c’è anche il genero di Vinciguerra, Alberto Bassetta, pure lui coinvolto nell’operazione Kynara ma in quella retata è finita anche la moglie di Curdunaro, Maria Jessica Vinciguerra,  messa ai domiciliari, su decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, per allevare i suoi cinque figli. A seguito della decisione di Vinciguerra di diventare un collaboratore di giustizia, la moglie ed i figli sono stati trasferiti in un luogo protetto.

Ammontano a 180 anni gli anni di carcere inflitti a 13 imputati per spaccio e per detenzione di armi afferenti al clan Capello. Lo dice una sentenza emessa dal Gup del tribunale di Catania in seguito all’indagine Minecraft eseguita dalla squadra mobile su cosca catanese.

Centottanta anni di reclusione per tredici imputati per un vasto traffico di droga, gestito dal clan Cappello-Bonaccorsi, e il possesso di armi da guerra. E’ la sentenza emessa dal Gup mdi Catania del processo, col rito abbreviato, nato dall’operazione ‘Minecraft’ della squadra mobile della Questura etnea.

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Redazione