«Sulla violenza economica purtroppo non abbiamo dati rilevanti e aggiornati. Li rileviamo solo se legati ad altri fenomeni di violenza come quella fisica o psicologica. Purtroppo spesso assistiamo a fenomeni in cui l’uomo prevarica la donna creando anche diverse forme di subordinazione che non soltanto la sottrazione dei mezzi di sussistenza, ma anche e soprattutto di denigrazione o esercizio di violenza fisica». Una “fotografia” del fenomeno che stamattina il magistrato Marisa Acagnino ha illustrato a Villa Citelli nel corso del seminario dal titolo “Libere di contare – Contare per essere libere violenza economica e discriminazioni di genere”, secondo appuntamento delle “Giornate Unict contro la violenza sulle donne – Violenze e discriminazioni di genere in teoria e in pratica”, l’iniziativa organizzata dal Coordinamento Unict per le Pari opportunità e dal Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Catania.
«Sul fenomeno c’è una grande attenzione da parte di tutte le istituzioni e a livello ministeriale si sta lavorando anche sui fascicoli dei processi civile, e non soltanto quelli penali, per verificare l’incidenza del fenomeno – ha aggiunto il magistrato -. Purtroppo oggi la violenza non viene sempre denunciata, vi è un problema culturale. Le norme per intervenire ci sono, ma da un lato alcune donne non si rendono conto di essere vittime di sopraffazione, sono vittime inconsapevoli, mentre dall’altro lato anche la “mentalità” della giurisprudenza, basti pensare alla sentenza sul velo islamico sul posto di lavoro, riconduce ad un fatto culturale una circostanza che viene sentita dalla donna come una forma di violenza. Su questo dobbiamo lavorare, con una maggiore diffusione della consapevolezza del fenomeno».
Nel corso del convegno sono stati evidenziati anche alcuni dati del fenomeno: il 53% delle donne ha subito qualche forma di violenza economica e, in particolare, il 22,6% dichiara di non avere accesso al reddito familiare, il 19,1% non può usare i propri soldi liberamente, mentre il 17,6% afferma che le proprie spese sono controllate dal partner. E, inoltre, il 16,9% non conosce nemmeno l’entità del reddito familiare, mentre il 10,8% non può lavorare o trovare un impiego.
«Un problema culturale che va combattuto innescando quel mutamento culturale indispensabile per diffondere la parità di genere. Occorre lavorare sulla prevenzione, sull’educazione e sul rispetto» ha spiegato la prorettrice Vania Patanè dell’Università di Catania alla presenza delle docenti Adriana Di Stefano e Germana Barone, delegate alle Pari opportunità e al Sistema museale d’Ateneo.
«La violenza economica è la forma più diffusa di violenza di cui se ne parla poco e da poco tempo perché spesso viene esercitata nel nome dell’amore e della fiducia verso il partner – ha spiegato la prof.ssa Rita Palidda -. Si stima che in Italia il lavoro familiare, che per il 70% è svolto dalle donne, abbia un valore economico pari al 34% del Prodotto interno lordo. Eppure non viene rilevato né contabilizzato e neppure tematizzato, espressione anche questa della svalutazione del lavoro femminile».
A seguire sono intervenute anche Giulia Giampiccolo della Banca d’Italia e Daniela Ursino dell’Associazione Thamaia.
Prima del seminario il rettore Francesco Priolo e l’artista Elsa Emmy hanno inaugurato, sempre a Villa Citelli, l’esposizione “Le Signore eleganti e senza storia” con una parte delle opere del Fondo Elsa Emmy, recentemente donato dall’autrice all’Università di Catania. Nella stessa sede è stata riproposta anche la serie di brevi biografie femminili “Anche la cancellazione è violenza” iniziativa nata dall’impegno di RivoltaPagina per l’Università e la città.