Assegno di disoccupazione: chi si assenta per più di tre giorni dal lavoro non vedrà nemmeno 1€ | Sarai tu a rimborsare fino al centesimo
L’assegno di disoccupazione spetta atutti coloro che hanno lavorato e che si ritrovano senza impiego ma attenzione ai casi in cui non è previsto
La Naspi, ovvero l’indennità di disoccupazione, è riservata ai lavoratori dipendenti che hanno versato almeno 13 settimane di contributi nei quattro anni precedenti la perdita del lavoro. Tuttavia, la condizione principale è che la disoccupazione sia involontaria, escludendo quindi le dimissioni volontarie, salvo i casi di giusta causa. Non tutti i contratti di lavoro permettono di accedere a questa prestazione, motivo per cui è fondamentale verificare la propria posizione contributiva e contrattuale.
I lavoratori licenziati, sia per giusta causa che per motivi economici, hanno diritto alla Naspi. Questo include i casi di crisi aziendale, fallimento o cessazione dell’attività. Anche i licenziamenti dovuti a inabilità lavorativa, ossia quando il dipendente non è più in grado di svolgere le proprie mansioni per motivi di salute, rientrano tra le cause che consentono di ricevere l’indennità. Inoltre, il rifiuto di un cambio di mansione (repêchage) o l’eccessivo numero di assenze per malattia che porta al superamento del periodo di comporto possono dare diritto alla Naspi.
Un lavoratore assente senza giustificazione per più di tre giorni può essere licenziato per giusta causa e mantenere il diritto alla Naspi. Tuttavia, se l’assenza si prolunga oltre i 15 giorni e il datore di lavoro la considera come dimissioni volontarie, il lavoratore perde l’indennità. In questi casi, è importante dimostrare che l’assenza non era intenzionale o che non si è stati in grado di comunicarne il motivo, altrimenti la prestazione non sarà concessa.
I lavoratori con contratti a tempo determinato hanno diritto alla Naspi se il contratto non viene rinnovato al termine della sua scadenza. Tuttavia, se il lavoratore si dimette prima della scadenza senza giusta causa o rifiuta formalmente un rinnovo, non avrà diritto all’indennità. Diversamente, se il rifiuto del rinnovo non è formalizzato per iscritto, l’Inps potrebbe riconoscere comunque la Naspi, ritenendo il rapporto concluso per cause non imputabili al lavoratore.
Cosa accade in caso di dimissioni volontarie e giusta causa
Le dimissioni volontarie generalmente non danno diritto alla Naspi, salvo i casi di giusta causa. Le dimissioni per giusta causa si verificano, ad esempio, in presenza di mancato pagamento dello stipendio, ritardi gravi nei pagamenti, mancato versamento dei contributi, molestie o mobbing. In queste situazioni, il lavoratore può lasciare il posto di lavoro senza preavviso, mantenendo il diritto all’indennità di disoccupazione. Tuttavia, è necessario dimostrare le condizioni che hanno portato alle dimissioni forzate.
Se un lavoratore rifiuta un trasferimento aziendale che comporta una distanza superiore ai 50 km o richiede più di 80 minuti di viaggio con i mezzi pubblici, ha diritto alla Naspi. Anche in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, l’indennità è riconosciuta a condizione che l’accordo sia formalizzato tramite conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Questo tutela i lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione aziendale o licenziamenti collettivi.
In quali casi si può esse esclusi dalla Naspi
Determinati tipi di lavoratori sono esclusi dall’indennità di disoccupazione. Tra questi figurano gli stagisti e i tirocinanti, che non versano contributi durante il periodo di formazione, e i lavoratori autonomi con partita IVA o contratti di collaborazione (co.co.co. e occasionali). Anche i lavoratori a chiamata o intermittenti possono ottenere la Naspi solo se hanno accumulato contributi sufficienti, mentre coloro che non soddisfano questo requisito sono esclusi.
La Naspi può essere richiesta dagli eredi di un lavoratore deceduto, a condizione che abbiano sostenuto le spese funerarie e che queste risultino documentate. Inoltre, i lavoratori stagionali possono beneficiare dell’indennità solo se hanno maturato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni. Per chi ha una disabilità grave e non può lavorare, esistono invece strumenti alternativi di sostegno, come l’assegno mensile di assistenza per invalidità.