Oltre tre milioni di beni sono stati sequestrati dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania all’imprenditore Carmelo Militello, 51 anni, ritenuti collegato all’associazione mafiosa Tomasello-Mazzaglia-Toscano.
Clan attivo nei territori di Adrano e Biancavilla, nella provincia etnea, e riconducibile alla “famiglia” Santapaola-Ercolano.
Il provvedimento ed il sequestro
Nei suoi confronti è stato eseguito un provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale etneo su richiesta della locale Procura distrettuale su indagini patrimoniali della sezione Criminalità economica di militari dell’Arma eseguite tra il 2016 e il 2022.
Le imprese interessate dal sequestro finalizzato alla confisca sono intestate ai due figli di Militello, Miriana e Nicolò. Sono la M.M. Logistic di Adrano e la M.N. Trasporti Srl di Biancavilla.
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I carabinieri hanno infatti evidenziato una “notevole sperequazione” tra il reale tenore di vita della famiglia ed i redditi dichiarati, giustificabile solo attraverso il riciclaggio dei proventi illeciti generati appunto dall’appartenenza di Militello alla criminalità organizzata.
Sigilli anche sull’abitazione di famiglia
Sigilli anche all’abitazione familiare, una villa di Santa Maria di Licodia con piscina. Secondo l’accusa le due società sarebbero “state sotto il controllo delle organizzazioni mafiose non lasciando spazio alla concorrenza in virtù di un patto siglato tra i vertici criminali dei due comuni etnei”.
Le accuse dei collaboratori di giustizia
Secondo diversi collaboratori di giustizia, “la figura di Militello sarebbe stata scelta e imposta sia dai vertici dell’associazione mafiosa di Biancavilla, prima dai fratelli Vito e Pippo Amoroso con il beneplacito di Alfio Ambrogio Monforte, e poi da Giuseppe Mancari, sia dal clan Santangelo- Scalisi di Adrano”.
Secondo la procura, l’indagato avrebbe “avuto il ruolo di prestanome e a lui sarebbe stata affidata la gestione della cosiddetta ‘agenzia’ di Biancavilla, deputata al carico delle merci, soprattutto prodotti agroalimentari, i cui introiti sarebbero andati per la maggior parte al clan”.
Contesta l’accusa, “l’agenzia avrebbe avuto un ruolo di intermediazione tra i titolari dei magazzini che raccolgono i prodotti lavorati nei campi e gli autotrasportatori, pretendendo da entrambi delle somme di denaro in percentuale al peso della merce da trasportare”. Una condotta che, ricostruisce la Dda di Catania, “sembra integrare una estorsione, obbligatoria per poter lavorare su quel territorio, notoriamente ricco di aziende agrumicole, che alterava il mercato senza possibilità di scelta di servizi alternativi, e che veniva alimentata dalla forza intimidatrice delle famiglie mafiose”.