Nell’oscuro labirinto della storia criminale dell’Italia gli anniversari delle stragi e dei delitti di mafia passano stanchi, corrosi dalla retorica e dall’oblio.
“Le verità parziali le abbiamo avute, ma c’è sempre un pezzo che manca, che rimane fuori e non si può provare in tribunale”, ha osservato il sociologo Nando Dalla Chiesa, il figlio del Generale Prefetto dei 100 giorni nella Palermo allora irredimibile. “Forse inconsciamente non si vuole cercare la verità perché si ha paura di trovarla”, accusa l’avvocato Michele Costa, figlio del Procuratore capo assassinato da un sicario di cosa nostra poco dopo l’emissione di una inedita raffica di ordini di cattura nei confronti di boss e fiancheggiatori delle cosche.
“Il corso del tempo non può mai essere un elemento positivo, soprattutto se si tiene conto che stragi e omicidi che hanno funestato il nostro Paese sono stati condizionati da raffinate strategie di depistaggio che ne hanno allontanato la possibilità di arrivare alla verità”, osserva il Procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci, per decenni in prima linea in Sicilia e Calabria contro mafia e ‘ndrangheta, per il quale è essenziale alzare il livello investigativo e giudiziario antimafia.
“Negli anni sono stati raggiunti importanti risultati sul coinvolgimento, diretto od indiretto, di soggetti di vertice dei nostri servizi di sicurezza, che avrebbero dovuto garantire la sicurezza del paese, nelle strategie di depistaggio. Si pensi agli incarichi extra-ordinem e perciò illegittimi conferiti dal Procuratore Sisti di Bologna ai vertici all’epoca della strage e del Procuratore Tinebra a Bruno Contrada. Si pensi inoltre al devastante depistaggio realizzato da Arnaldo La Barbera di cui solo recentemente é emersa l’appartenenza occulta ai servizi. È possibile che altre figure emergeranno, allorquando verranno chiariti i ruoli di coloro che hanno assicurato le coperture dei latitanti di lunga durata, compreso Matteo Messina Denaro”.
Stragi e delitti chiave che hanno determinato ulteriori omicidi e attentati?
“Le stragi di Bologna, Italicus, Dalla Chiesa, Chinnici e gli omicidi di Pier Santi Mattarella e Pio La Torre hanno saldato un collegamento tra entità criminali e statali che hanno caratterizzato la strategia stragista degli anni ’90. Iniziata con l’omicidio di Salvo Lima il 12 marzo 1992, é proseguita con un programma che subì una serie variazioni in corso d’opera, a cominciare dalla stessa strage Borsellino la cui realizzazione fu oggetto di “un’accelerazione” che sorprese persino gli stessi uomini di fiducia di Salvatore Riina. Vennero abbandonati alcuni propositi che Cosa Nostra aveva voluto coltivare sin dall’inizio, come gli omicidi di Calogero Mannino, Claudio Martelli e Piero Grasso ed altri se ne aggiunsero. Come le stragi in continente e quelle tentate e realizzate in Calabria tra il ’93 e il ’94, in cui altre entità assunsero un ruolo decisionale relegando a Cosa Nostra la compartecipazione alla mera esecuzione”.
Quante chance attribuisce all’eventuale pentimento dei capimafia detenuti?
“Alcuni irriducibili è difficile che si pentano perché sono rimasti legati all’ideologia corleonese/ndranghetista della sopportazione del carcere come elemento distintivo, utile anche per accrescere l’autorevolezza criminale dei familiari in libertà. Altri sono in attesa di comprendere quali spazi si apriranno con la riforma dell’ergastolo ostativo e con quelle che ciclicamente, al di là della buona fede dei proponenti, mirano al ridimensionamento dell’apparato di contrasto (si pensi alle intercettazioni, al concorso esterno, alle misure di prevenzione), non escludendo (come è avvenuto nel corso del processo ‘ndrangheta stragista da parte di Giuseppe Graviano) il ricorso a messaggi intimidatori/ricattatori verso quei settori della classe politica ritenuta a loro più vicini”.