Alla luce dell’aggravamento delle condizioni di Matteo Messina Denaro non è più in agenda, per sanitari e istituzioni che stanno gestendo la complessa vicenda, il tema del suo ritorno nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila dove è stato rinchiuso in regime di 41 bis fino all’8 agosto. È un momento molto delicato per lui che alterna momenti di lucidità in cui appare persino di buonumore e si alza dal letto a momenti di grande debolezza .
Nei giorni scorsi, Messina Denaro sarebbe andato in coma per la reazione di farmaci somministrati per la terapia del dolore: si è ripreso dopo che sono state rimodulate dosi e medicine. Sarebbe stata sospesa la cura per il cancro al boss di Castelvetrano. Per Messina Denaro solo terapia del dolore che è stata riadattata. Il boss di Cosa nostra, al 41bis, avrebbe ricevuto le visite di alcuni parenti stretti in questi 2 giorni. Da quanto si apprende gli avvocati non gli hanno ancora fatto visita.
Intanto, la figlia Lorenza, appena riconosciuta, e la nipote Lorenza Guttadauro, che è pure il suo legale, sono al capezzale di Matteo Messina Denaro. Lui per primo e i familiari sono consapevoli di una condizione difficile. E per questo da qualche giorno figlia e nipote si sono trasferite a L’Aquila per seguire il decorso della degenza. È in momenti come questi che si cercano spazi e modi per chiudere conti ancora aperti.
Per Messina Denaro il più urgente era il riconoscimento della figlia, nata il 17 novembre 1996 dal rapporto con Franca Alagna. Il boss non l’aveva mai conosciuta, come scriveva dalla latitanza all’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, nome in codice Svetonio. Fino al 2012 Franca e Lorenza vivevano in casa della madre del boss ma poi erano andate altrove anche per sottrarsi a una asfissiante pressione investigativa. La distanza tra padre e figlia si era così allargata. Lorenza aveva seguito il suo percorso di vita da persona normale: aveva studiato al liceo, si era sposata e due anni fa aveva avuto un bambino.
La discrezione con cui aveva avvolto la sua vita aveva alimentato la voce che avesse rinnegato il padre e preso le distanze dalla sua storia criminale. Se ne era parlato proprio a ridosso della cattura del “Siccu” nella clinica “La Maddalena” di Palermo, dove si faceva curare come il signor Andrea Bonafede. Ad alimentare quella voce era anche il contenuto di alcuni fogli sequestrati nel covo di Campobello di Mazara. “Perché Lorenza non vuole vedermi? Perché è arrabbiata con me?”, era il cruccio di un padre che in questo modo rinsaldava la tesi di una rottura ormai consumata.
In una lettera alla sorella Matteo Messina Denaro metteva a raffronto i diversi comportamenti tra la nipote del boss Leonardo Bonafede, che non esitava a dichiarare al nonno “onorata di appartenerti”, e lei, Lorenza, che con il suo comportamento induceva Messina Denaro a chiedersi: “Cosa ha fatto al padre, cioè a me? Ma va bene così, non ho più nulla da recriminare”. Dubbi e apparenze hanno lasciato subito il posto a una realtà molto diversa da quella raccontata. “Notizie destituite di ogni fondamento” le aveva definite il legale Franco Lo Sciuto per conto di Lorenza. Smentite tutte le indiscrezioni e negata qualsiasi dichiarazione “che potesse indurre a ritenere la sussistenza di una volontà di chiudere ogni rapporto con il padre”.
Lorenza e Matteo Messina Denaro si sono visti per la prima volta ad aprile nel carcere dell’Aquila. È stata lei stessa a decidere di incontrarlo scambiandosi sguardi di affetto attraverso un vetro. Il decorso della malattia ha ora accelerato la decisione di ricomporre, anche per l’anagrafe, un rapporto al quale sono mancate mancate la dimensione fisica e l’atmosfera familiare. È una storia molto privata e non ci sono stati intermediari, ha assicurato l’avvocato-nipote del boss che ha rivendicato un apporto professionale: ha scritto lei l’istanza per fare ammettere in carcere il notaio che ha raccolto la volontà di Messina Denaro. Ora le due donne seguono insieme a L’Aquila l’ultimo tornante di vita di quello che è stato l’ultimo grande latitante di Cosa nostra.