Una mafia “capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere”, complice “un calo generale della tensione antimafia nell’opinione pubblica” e “una scarsa incidenza delle associazioni antiracket che ha permesso negli ultimi anni “nuove forme di raccolta del pizzo”.
E uno dei tratti salienti emersi dalla prima mappatura della commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, presieduta da Antonello Cracolici, che ha ricostruito lo stato attuale di Cosa nostra e che in questi mesi ha introdotto un elemento di novità nelle sue audizioni nelle province della regione, offrendo un momento di ascolto e interlocuzione anche con 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola. I dati sono stati presentati in conferenza stampa a ll’Ars.
Quasi tremila i chilometri percorsi dalla commissione per i nove incontri svolti nelle sedi prefettizie dell’Isola, eccezion fatta per i comuni di Favara, Acate e Castelvetrano, scelti per alcune peculiarità, o, come nel caso di Castelvetrano, perché all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel corso dei nove incontri con i prefetti sono stati sentiti dalla commissione antimafia 19 procuratori capo, quattro procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della guardia di finanza e dei carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia delle singole province. Una mafia meno pressante ma capillare, all’insegna del ‘pagare meno ma pagare tutti’: l’attività estorsiva, secondo i commissari, “continua ad essere il tratto fondamentale che garantisce alle mafie, oltre all’accumulazione di denaro, l’affermazione della propria presenza sul territorio”.
Le audizioni fatte nel primo anno di attività con i Comitati dell’ordine e della sicurezza di tutte le province siciliane (iniziate a Febbraio 2023 a Castelvetrano e conclusesi a Catania nel settembre scorso) hanno segnalato come, “alla recrudescenza del fenomeno estorsivo, sia connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta ‘messa a posto'”.
A questo dato si affianca “un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale” che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere di Cosa nostra. La commissione parla apertamente di “una caduta della tensione” che si è tradotta in un “sentimento di indifferenza che ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività”, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione “senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket”.
Sono 30, in tutto, le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio. Di fronte all’evidenza delle inchieste, poi, è emerso come gli estorti abbiano spesso negato di essere vittima di estorsione. In questo contesto, il racket si è trasformato “nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici”: una “collaborazione quasi spontanea” degli estorti. Emergono inoltre nuove forme di raccolta del pizzo anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti.