“Quella gogna sui giornali mi ha ferito più del processo”. Così, in un’intervista a Il Dubbio, l’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo che, assolto un mese fa dalla Corte d’appello di Catania dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale, dopo un’odissea giudiziaria durata dieci anni, si dice pronto a riprendere a fare politica: “Avendola fatta attivamente e quasi esclusivamente per quarant’anni anni è impossibile disinteressarmene. Mi prefiggo di dare una mano a chi ha fiducia e vuole scommettere sull’idea autonomista e sul movimento che nel 2005 con alcuni coraggiosi fondammo”.
“Trascorro questi giorni con la mia famiglia, come sempre, e con i miei amici e dedico molto tempo all’agrumeto – racconta -. Il tutto con una ritrovata serenità, pur consapevole del fatto che la mia vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa”. “Io non ritengo ingiusto – spiega – essere stato sottoposto a processo perché è doveroso che la magistratura indaghi, quando ha notizia di fatti che possono costituire reato o ritenga che vi siano fatti che meritino in questa prospettiva un accertamento. Non ritengo neppure ingiusto che la Procura abbia ritenuto di sostenere l’accusa nei miei confronti e che si sia celebrato un processo nel quale mi sono difeso con i miei avvocati ed è stata da ultimo pronunciata una sentenza. Credo, peraltro, che vada ricordato che la Procura della Repubblica inizialmente richiese l’archiviazione per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso e venne ordinata dal Gip l’imputazione coatta. Tutto ciò attiene, comunque, alla fisiologia di uno Stato di diritto. Quello che, invece, è estraneo ad essa è che notizie riservate siano state date alla stampa, in violazione evidente della legge e senza che nessuno abbia seriamente indagato, come mi si dice sempre accade in casi del genere, su come sia stato possibile e sulle ragioni di ciò. La campagna di stampa avviata nei miei confronti ha fortemente inciso sulla mia vicenda processuale e sulla decisione di rassegnare le dimissioni, vanificando un’esperienza politica intrapresa con il consenso di 1 milione e 800 mila voti liberamente espressi, il 66% del totale”.
“Non mi ritengo una vittima – sottolinea Raffaele Lombardo -. Non si addice alla mia indole e l’esito di questo grado di giudizio, che conferma la fiducia da sempre da me riposta nel sistema giudiziario, lo dimostra. Gli anni del processo sono stati troppi ma il sistema ha le sue regole ed alcune di esse sono il portato di un pensiero complesso elaborato in secoli di storia. Oggi comprendo che un processo rapido non è per ciò stesso un processo giusto. Ci sono i tempi dell’accusa, ma anche quelli della difesa e c’è soprattutto il diritto di appellare, di contrastare una decisione che si ritiene ingiusta, innanzi ad un giudice che sia sempre terzo”. “Nelle aule giudiziarie – aggiunge l’ex presidente della Regione siciliana – si discute di fatti, ma, soprattutto, accusa e difesa si confrontano, ascoltando l’una le ragioni dell’altra e la sintesi è affidata ad un giudice che il sistema impone essere terzo. Tutto ciò negli studi televisivi, ma anche in altri contesti per il vero, sembra impossibile ed è considerato quasi infamante ammettere di avere commesso un errore di valutazione. A ciò si aggiunga che la maggior parte della stampa è alla costante ricerca di un colpevole verso il quale indirizzare le frustrazioni di una massa di inconsapevoli consumatori del prodotto mediatico”. Ed i danni per chi finisce in questo tritacarne sono incalcolabili “non solo per l’interessato, ma anche per i familiari che subiscono incolpevoli il peso di tutto ciò. Ma il danno maggiore lo si arreca proprio al sistema giudiziario che deve resistere alla pressione esterna di un’opinione pubblica non sempre consapevole e culturalmente attrezzata”.