martedì 19 Marzo 2024
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La mafia potrebbero mettere le mani sui fondi del PNRR destinati alla Sicilia

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"Tangibili le influenze di Cosa Nostra catanese, di penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale"

“Nonostante la latitanza, Matteo Messina Denaro resterebbe la figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse, per la risoluzione di eventuali controversie e per la nomina dei vertici delle articolazioni mafiose anche non trapanesi”. Lo si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia al Parlamento relativa al secondo semestre 2021. “Cosa nostra si conferma organizzazione tendenzialmente unitaria sempre più tesa alla ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in mancanza di una struttura di raccordo di “comando al vertice”.

“In particolare nella città di Catania cosa nostra è rappresentata dalle storiche famiglie alle quali si affiancano altri sodalizi che, seppur fortemente organizzati e per quanto regolati secondo gli schemi tipici delle consorterie mafiose, evidenziano maggiore fluidità sul piano strutturale non configurandosi organicamente in cosa nostra. Le numerose attività repressive condotte nell’arco degli anni hanno determinato l’arresto dei vertici e creato dei vuoti nelle posizioni di comando”.

“Nelle province di Siracusa e Ragusa – c’è scritto nella relazione della Direzione investigativa antimafia –  sono tangibili le influenze di cosa nostra catanese e in misura minore della stidda gelese nel solo territorio ibleo. Minimale continua ad essere il ricorso alla violenza da parte di tutte le organizzazioni mafiose. Le stesse infatti confermano la centralità del business che le vedrebbe, a volte contrapposte, a convivere sullo stesso territorio per la spartizione degli “affari”. Questa mafia sempre più silente e mercantilistica privilegerebbe, pertanto, un modus operandi collusivo-corruttivo nel quale gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza”.

“A tale riguardo, – si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia  – storica è la vocazione di cosa nostra catanese di penetrare e di confondersi nel tessuto economico legale del capoluogo, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale della cosa pubblica. Nel tempo anche le altre organizzazioni di tipo mafioso hanno perseguito la medesima strategia abbandonando il più possibile l’idea di affermarsi sul territorio mediante azioni eclatanti e destabilizzanti per la sicurezza pubblica”.

“Si preferirebbe quindi individuare, all’interno delle amministrazioni pubbliche locali e delle professioni o delle imprese, soggetti di riferimento in grado di garantire il perseguimento dei propri interessi illeciti. 6 E’ la strategia mafiosa tesa a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio, privilegia l’approccio corruttivo”.

“L’azione spregiudicata e violenta del passato ha peraltro ceduto il passo alla necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione. Accanto al controllo del territorio, che resta comunque un’esigenza primaria dell’organizzazione, il percorso intrapreso dalle mafie è quello di inserirsi nel panorama sociale ed economico di riferimento “coinvolgendo” la pubblica amministrazione tramite manovre corruttive”.

“In questo scenario di stagnazione economico-produttiva che risente ancora della crisi pandemica e che aggrava le aspettative soprattutto della popolazione giovanile trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del PNRR destinati all’Isola”.

“Sempre alta rimane l’attenzione nei riguardi dell’indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale. Nella relazione della Direzione investigativa antimafia viene spiegato anche come sono frequenti “le attività di contrasto all’attività criminale riconducibile alla mafia agricola nel contesto della quale si è delineata l’attività volta all’acquisizione di contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E. Nell’entroterra siciliano, infatti, il comparto agro-pastorale rappresenta il settore di traino per l’economia che di conseguenza attira l’interesse delle consorterie mafiose che si avvarrebbero di prestanome e professionisti compiacenti”.

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