Operazione antimafia “Athena” a Catania, Siracusa e Teramo
Si chiama “Athena”, l’operazione dove oltre 300 Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, hanno eseguito nelle Provincie di Catania, Siracusa e Teramo, un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali. La maxi inchiesta, è stata coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti.
Nei confronti di 17 persone, ritenute gravemente indiziate – a vario titolo, allo stato degli atti e in relazione ad una fase processuale che non consente l’intervento delle difese – dei delitti di associazione mafiosa nonché altri delitti, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa o dal metodo mafioso, di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, spaccio di sostanze stupefacenti, turbata libertà degli incanti con l’aggravante del metodo mafioso e corruzione.
Dei 17 indagati, 15 sono stati sottoposti alla custodia cautelare in carcere, 1 agli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, 1 al divieto temporaneo – per la durata di un anno – di esercitare la professione di avvocato, limitatamente all’esercizio delle funzioni di delegato alle vendite.
L’inchiesta avrebbe consentito di accertare, sul territorio di Paternò, l’operatività del gruppo “Morabito-Rapisarda”, riconducibile al clan catanese “Laudani” intesi “Mussi ‘i ficurinia”, individuandone gli elementi di vertice, e i suoi rapporti con il clan storicamente contrapposto degli “Assinnata”, articolazione territoriale della famiglia di cosa nostra catanese “Santapaola-Ercolano”.
La complessa attività d’indagine, coordinata dalla Procura di Catania, è scattata nel 2019 , grazie a un denuncia di un imprenditore locale che, nel corso di una procedura di vendita senza incanto di un immobile all’asta, sarebbe stato bloccato da alcuni soggetti ritenuti vicini al clan dei “Morabito-Rapisarda” dove lo avrebbero minacciavano per farlo ritirare dalla gara.
Le successive indagini avrebbero consentito di ricostruire gli interessi dell’organizzazione mafiosa nel controllo sistematico e capillare dell’aggiudicazione delle aste giudiziarie di immobili ricadenti nelle province di Catania, prevalentemente nel territorio paternese e, in un’occasione, nella provincia di Siracusa.
Il modus operandi degli indagati, sarebbe consistito nella turbativa del regolare svolgimento delle procedure di vendita immobiliare al fine di favorire determinati acquirenti che, dietro pagamento di un ricompensa per l’attività illecita, si sarebbero rivolti al clan al fine acquistare o rientrare in possesso del bene per conto dei debitori esecutati precedenti proprietari.
Secondo la ricostruzione, il versamento della somma di denaro a titolo di compenso a favore del clan, che agiva mediante condotte che sostanzialmente determinavano l’allontanamento, anche con modalità violente e intimidatorie, degli offerenti o degli eventuali interessati (“lo stiamo ricomprando noi”), in modo da garantire al “cliente” l’aggiudicazione dell’immobile.
Secondo l’accusa, il gruppo criminale “poteva contare sull’esistenza di rapporti di conoscenza con alcuni delegati alla vendita e, infatti, in un caso è stato ritenuto sussistente il supporto di un avvocato siracusano”. Nei cui confronti, secondo la ricostruzione, è stata emessa la misura cautelare personale del divieto di esercizio delle funzioni di delegato alle vendite. Per il legale è stata esclusa l’aggravante mafiosa.
Il giro di affari, che coinvolgeva anche altre tipologie di operazioni immobiliari, avrebbe garantito consistenti guadagni, con compensi commisurati al valore del bene sul mercato immobiliare, che, di frequente, sarebbero stati condivisi, a riscontro dell’esistenza di un patto di “coabitazione”, con il clan “Assinata”, articolazione territoriale della famiglia di cosa nostra catanese “Santapaola-Ercolano”.
I rapporti tra i due clan, peraltro in ordine ad affari di interesse comune, sarebbero stati agevolati da due delle persone indagate nei confronti delle quali il GIP ha accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere in relazione al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.
Per Cirino Pietro, ex assessore del Comune di Paternò e imprenditore nel settore agrumicolo, secondo l’accusa, “oltre ad avere stabili rapporti di affari con esponenti apicali del clan mafioso, secondo la ricostruzione della Procura “avrebbe messo a disposizione dell’associazione il proprio bagaglio di conoscenze e le proprie entrature nella politica locale”.
Il clan “Morabito-Rapisarda” sarebbe anche dedito al traffico di sostanze stupefacenti, soprattutto marijuana, con una struttura ben organizzata e delineata nella ripartizione dei singoli ruoli. Il clan aveva un’articolata rete di rapporti criminali sul territorio catanese che gli garantiva dei canali di approvvigionamento dello stupefacente, proveniente da consorterie operanti in Catania e in Adrano.
Il gruppo, inoltre, poteva disporre di basi logistiche per la custodia e per il confezionamento dello stupefacente, nonché di un immobile sito nel centro cittadino di Paternò dove veniva dato appuntamento agli acquirenti. Anche il settore degli stupefacenti, utilizzato come fonte di “entrate” per la “cassa comune”, era gestito con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso. Al vertice del gruppo vi sarebbe stato proprio uno degli esponenti del clan “Morabito-Rapisarda”.
Nel corso delle investigazioni, a riscontro di quanto emergeva dalle intercettazioni, sono stati sequestrati complessivamente circa 71 kg di sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina, e arrestate 8 persone in flagranza di reato.
Tra gli indagati, ci sarebbe anche il sindaco di Paternò, Antonino Naso, e un assessore dell’attuale giunta, Salvatore Comis. Il reato ipotizzato, in concorso con due presunti esponenti del clan Morabito legato alla ‘famiglia’ Laudani di Catania, ci sarebbe “lo scambio elettorale politico-mafioso”.
Per gli amministratori la Procura aveva chiesto un provvedimento cautelare che è stato rigettato dal gip, dove si sarebbe escluso la sussistenza dei necessari gravi indizi di reato riguardo alla posizione del sindaco Naso. Secondo il gip l’assunzione di due persone vinco alla cosca in un’azienda che si occupa di rifiuti e il presunto il sostegno elettorale “non appaiono prospettabili”.
Citando un provvedimento della Cassazione, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso è necessaria “la prova che l’accordo contempli l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso”. Nei faldoni della maxi inchiesta, le presunte infiltrazioni nel voto delle amministrative scorse a Paternò con un presunto aiuto del clan Morabito ai tre amministratore indagati.
Questi i nomi dei 15 destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere: Adriano Apolito, 35 anni; Natale Benvenga, 61; Pietro Cirino, 59; Filippo Cunsolo, 60; Vincenzo Cunsolo, 55; Francesco Di Perna, 60; Carmelo Oliveri, 44; Emanuele Salvatore Pennisi, 46; Pietro Puglisi, 49; Andrea Rapisarda, 21; Antonino Rapisarda, 54; Vincenzo Rapisarda, 29; Andrea Sinatra, 22; Angelo Spatola, 48; Carmelo Verzì, 28. L’indagato finito agli arresti domiciliari è Vincenzo Morabito, di 63 anni.